Il 12 novembre 1661 Gio Gioseppe Piccini nasce nella contrada di Nona (ora frazione del comune di Vilminore di Scalve), dove viene battezzato nella Parrocchiale della Natività di Maria, retta dal parroco Giovanni Silli. Nel censimento del 1666, il borgo è denominato Annona, toponimo la cui probabile origine latina rinvia alla presenza, in loco, di un magazzino di approvvigionamenti destinati a maestranze e lavoratori delle vicine miniere di Manina. In tale contesto, la famiglia Piccini fa parte dell’Associazione vicinale di Nona, contrada che all’epoca conta un centinaio di residenti.
Nel 1672, dopo essere stato avviato a bottega dall’intagliatore Capitanio di Vilminore, come afferma il biografo Francesco Maria Tassi (Bergamo, 1710-1782), in seguito all’iniziale apprendistato presso questo “ordinario artefice”, troviamo l’undicenne Gio Gioseppe aiutante di Carlo Ramus, della celebre famiglia di intagliatori di Edolo, impegnato in Vilminore con l’incarico di scolpire le statue del pulpito dell’antica Pieve di Scalve.
È il Tassi stesso a riferire che il Piccini, superato in breve il suo primo maestro grazie alle sue precoci ed evidenti doti, si spinse a “procacciarsene uno migliore” e, lasciata la sua Valle “…portossi in Tirano della Valle Tellina ove si trovava Pietro Rames famoso scultore tedesco”. In questo periodo Gio Gioseppe, giovane allievo alla scuola dei Ramus, impegnato a seguire il maestro e suo fratello Pietro in base alle committenze, entra in contatto anche con Andrea Fantoni di Rovetta, a sua volta presente nella famosa bottega, ivi inviato dal padre nel 1675. Ma nel 1682 la morte di Pietro Ramus, avvenuta a causa di un sospetto avvelenamento, induce il Piccini al precipitoso rientro in Valle di Scalve dove porterà avanti autonomamente la propria formazione. Ancora dal Tassi: “datosi di proposito a continui studi, con l’aiuto del libro della simmetria di Alberto Duro, dell’anatomia di Michel Angelo, e delle stampe di diversi autori, fece tale avanzamento che cominciò a produrre in pubblico molte cose degne di lodi.” La realizzazione del paliotto dell’altare maggiore della parrocchiale di Cedegolo, commissionato al Piccini il 26 gennaio 1691, a completamento dell’ancona eseguita in precedenza proprio da Pietro Ramus, palesa chiaramente la spiccata personalità e le peculiari abilità del Piccini. È questo il periodo della maturità artistica testimoniata dal suo alacre lavoro, non solo in Val di Scalve e località limitrofe, ma soprattutto in Valle Camonica.
Sono questi gli anni in cui il Piccini, artista ormai conosciuto, lavora anche per committenti privati come i Capitanio di Bergamo ed il dottor Antonioli di Brescia, per il quale realizza lo splendido inginocchiatoio oggi conservato al museo Poldi Pezzoli di Milano e fino al 1996 attribuito ad Andrea Fantoni con cui, dopo una continua collaborazione presso la bottega della famiglia in Rovetta, si sviluppa una rivalità che indurrà lo scultore scalvino a rinunciare volontariamente “ad ogni sua pretesa”.
Proprio in uno dei suoi soggiorni milanesi il Piccini conosce il Conte Carlo IV Borromeo che acquista un suo prezioso lavoro d’intaglio a tema “Naufragio dei discepoli”, tuttora conservato nell’anticappella privata di Palazzo Borromeo presso Isola Bella (VB). Come testimonia ancora il Tassi “…il suo genio principalmente era ra di scolpire nel legno di bosso medaglie di piccole figure e portarle poi in questa città [Bergamo] o in quelle a noi vicine […] in simile incontro, in cui portavasi a Milano, ebbe la buona sorte di incontrare un grandissimo personaggio, il quale veduta l’opera di basso rilievo che seco aveva, sommamente la lodò […] medaglia in cui era espressa la storia quando Gesù dormiva sulla nave in tempo di una fiera tempesta […] questi era il Conte Carlo Borromeo che gli fece molta istanza di fermarsi in sua casa […] ma essendo egli uomo timido, ed inclinato a vivere nella solitudine […] volle con maggior soddisfazione restituirsi fra le altissime selve della sua gradita valle.”
Al 19 dicembre 1724 risale l’importante manoscritto, redatto con lungimiranza dal Piccini stesso, dal titolo “Note d’alcune opere d’intaglio fatte da Gio Gioseppe Piccini della Nona in Valle di Scalve quale è nato lì 12 novembre 1661”, oggi conservato presso l’archivio della Curia Vescovile di Bergamo. Tale documento ha consentito, di fatto, la corretta attribuzione della paternità a Gio Gioseppe Piccini sia dell’inginocchiatoio del Poldi Pezzoli come del “Naufragio dei Discepoli”, opera quest’ultima ritenuta erroneamente appartenuta al Cardinale Federico Borromeo (1564-1631).
Dallo stesso documento risulta ancora invenduto l’inginocchiatoio datato 1722. Scrive infatti il Piccini: “…Un altro Oratorio […] fatto così a fortuna, e da vendere, e che può servir per Camera di qualche Grande, e meglio per qualche sagrestia ricca per la preparazione e ringraziamento della messa, essendovi sito bastante per due col commodo[…] Questo oratorio è fatto di noce, e Busso con pianta quadricircolare e l’appoggio della bracchia in mezzo vi è una grande bocca aperta di mostro con tre facce dinotante le tre pene dè dannati.” Lo splendido arredo sacro, realizzato dal Piccini senza commissione, fu successivamente messo in vendita. Dopo vari passaggi di proprietà, venne donato dall’arciprete don Giuseppe Calvi che, a sua volta, lo aveva ricevuto in regalo da Luigi Grassi Ghisletti di Schilpario, alla Parrocchiale di Telgate, dove è tutt’oggi conservato.
Nel dicembre del 1725 Gio Gioseppe Piccini “…finisce di vivere nella sua patria di Nona, dove quasi sempre aveva fatto sua dimora, e fu sepolto in quella parrocchiale, che tanto di sue eccellenti fatture era stata abbellita.”